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Cipro, isola di ferite e di luce

Cinque giorni di pellegrinaggio ci hanno condotti nel cuore di Cipro, terra di Santi e di confini. Negli occhi restano immagini che parlano da sole: l’eremo di Aghios Neophytos scavato nella roccia, silenzioso come una preghiera; i mosaici della casa di Dioniso a Pafos, che ci raccontano con immagini splendidamente conservate i più antichi miti greci e la colonna della flagellazione di San Paolo davanti alla basilica bizantina di Panagia Chrysopolitissa sempre a Pafos (dove abbiamo anche avuto la possibilità di celebrare la nostra Eucarestia in un contesto di grande collaborazione e disponibilità); la città fantasma di Famagosta, le case vuote, il filo spinato che ancora divide in due l’isola, per non parlare del mare che ci ha permesso di fare ancora il bagno ad ottobre inoltrato ed alle splendide albe che ci hanno accompagnato ogni mattina con colori incredibili. Nelle Cattedrali trasformate in moschee sia a Famagosta che a Nicosia (nella parte occupata) abbiamo percepito il dolore del disprezzo, mentre a Larnaca, nostra prima tappa, davanti alla tomba di San Lazzaro, raffigurato risorto per mano di Cristo, la fede si è fatta certezza.

Tra le perle di questo cammino, la semplicità della tomba di San Barnaba, uomo della conciliazione, la voce di Marilena, nostra guida e testimone della dignità e del dolore del popolo greco-cipriota, che ci ha insegnato ad amare una terra ferita, ma desiderosa di riunificazione e di pace, i nostri Don Alessandro e Don Stefano, “noi due siamo amici”, che ci hanno mostrato che la fraternità è la prima Chiesa da edificare e che hanno avuto la bellissima intuizione di questo percorso che per la prima volta ha visto riunite insieme tutte le quattro anime della nostra comunità pastorale con risultati davvero insperati e tutt’altro che scontati per quanto riguarda la coesione, creando e rafforzando nuove e vecchie amicizie, il Vescovo di Nicosia, il francescano frate Bruno, voluto fortemente da Papa Francesco e dal Cardinal Pizzaballa dopo ben quattrocento anni di assenza di un vescovo cattolico sull’isola, che con il suo entusiasmo, la sua umiltà da ultimo arrivato, l’apertura verso i più poveri e i profughi e una presenza davvero carismatica ci ha letteralmente ipnotizzati durante l’omelia in occasione della celebrazione dell’Eucarestia dell’ultimo giorno di pellegrinaggio.

Abbiamo scoperto che più chiese, antiche o abbandonate, costituiscono ancora oggi la nostra Chiesa viva, fatta di relazioni, ascolto e comunione. In un’isola divisa da muri, filo spinato e faticosi chekpoint da superare per attraversare pochi metri di distanza all’interno di una stessa capitale (forse l’ultima al mondo ancora divisa da un muro), abbiamo imparato che la vera unità nasce solo dal fare comunità.

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